La Vitamina D ci salverà dal Covid-19?

26 novembre 2020

Intervista al professor Giancarlo Isaia il cui studio sull'incidenza della Vitamina D sul covid sta aprendo una nuova strada di prevenzione dell'infezione. E mentre il suo studio sta per essere pubblicato in tutto il mondo, nel Regno Unito stanno già distribuendo Vitamina D a tutta la popolazione

Professor Giancarlo Isaia, noi chiamiamo la Vitamina D "vitamina". La realtà è però diversa. Ci può spiegare meglio?

Questo è un problema etimologico che ha creato molti equivoci e, forse, ha ostacolato l'adozione di provvedimenti a riguardo. Quando si parla di vitamine nell'immaginario collettivo delle persone, ma anche dei medici, si tende sempre un po' a banalizzare anche se invece sono sono molto importanti.

Se si guarda nel vocabolario a questo termine c’è scritto: "Sostanza che non può essere prodotta dall'organismo, e quindi deve essere assunta dall'esterno e che agisce a distanza sul piano metabolico”. Al contrario il nostro organismo produce Vitamina D tramite i raggi solari che irradiano la cute. In piccola parte può essere assunta con gli alimenti anche se questi, eccetto forse il salmone, sono di raro consumo come i funghi Shiktake, le aringhe e alcuni formaggi. L’unica fonte quindi è il sole che una volta entrato tramite la cute, viene accumulata nel nostro tessuto adiposo e poi viene rilasciata lentamente nel resto dell’anno soprattutto in inverno. Questo avviene per un retaggio filogenetico dovuto ai nostri antenati che vivevano nelle caverne tutto l’inverno prendendo poca luce solare e se non ci fosse stato questo sistema “naturale” di immagazzinamento la specie si sarebbe estinta e non è avvenuto proprio per questo meccanismo di accumulo e rilascio progressivo.

Che associazione esiste tra la Vitamina D e il Covid?

Prima di parlare di questo è importante spiegare che nella scienza si distinguono due ambiti, uno teorico e l’altro applicativo. Il primo è quello in cui io trovo una sostanza facendo un esperimento che produce un determinato effetto, che però non è detto sia riproducibile nell’uomo. Ci sono molte osservazioni scientifiche in cui una sostanza in vitro funziona che poi non sono visibili sul piano umano e quindi inutilizzabili dal punto di vista terapeutico. È importante quindi distinguere. Scientificamente avevamo moltissimi lavori che evidenziavano, sia negli animali da esperimento, sia vitro, come la Vitamina D aveva effetti importanti sul sistema immunitario. Questo lo sapevamo già da 150 anni da quando i nostri progenitori medici dell’800 dovevano combattere la Tubercolosi e non avevano antibiotici, mandavano i pazienti al mare o in montagna nei sanatori. Queste strutture erano state create come i primi provvedimenti presi nel Regno Unito d’Italia, dove il Ministero della Salute, che all’epoca era una costola del Ministero dell’interno, obbligò tutte le province allora costituite a costruirle. Questi pazienti andavano lì e venivano messi al sole, senza neanche sapere che assumevano in questo modo Vitamina D e senza neanche conoscerne gli effetti di questa sul piano immune. Il risultato fu che quelli che vivevano di più all’aria aperta e quindi prendevano più raggi ultravioletti, si ammalavano di meno di Tubercolosi o guarivano più velocemente”.

Tornando al discorso Coronavirus?

L’esperienza su questo virus è ovviamente più limitata perché è esploso a fine 2019, ma già dal primo gennaio sulla Vitamina D c’erano circa 250 lavori pubblicati in tutto il mondo. Noi che avevamo ipotizzato questa cosa siamo stati un po’ accusati di divulgare fake news o di essere gente poco seria è questa è stata una cosa che mi ha fatto molto arrabbiare perché io non mi sono mai pronunciato se non sono sicuro. Ho avuto l’intuizione di andare a vedere con qualche sistema possibile se le diverse regioni italiane differivano in quanto a radiazioni solari per poi quantificarle e correlare i dati clinici del covid per trovare una corrispondenza. Ho chiesto aiuto per farlo ai fisici dell’Arpa (l’Agenzia Regionale per la protezione Ambientale ndr) in particolare il dott. Henri Diémoz che ha estrapolato questi dati da alcuni di satelliti chiamati Themis che girano intorno alla terra mandando dati meteorologici. Per essere sicuri che fossero precisi, sono stati confrontati con quelli a terra per vedere se coincidevano ed è venuta fuori una correlazione perfetta. Confortati da questo, abbiamo preso tutti questi dati delle radiazioni ultraviolette e le abbiamo correlate con i morti, con il numero degli infetti e degli infetti per tampone. Il risultato è stata un correlazione molto alta arrivata all’83% circa che ci confermava che dove i raggi ultravioletti erano più bassi, ad esempio Lombardia e Piemonte, c’era maggiore incidenza del virus e dei decessi. Sottolineo che questo è uno studio statistico, anche se molto concreto, che dice che la distribuzione della pandemia nelle zone italiane era in qualche modo spiegata statisticamente dai raggi ultravioletti che ci sono piovuti addosso nel semestre precedente.

Qui entra in gioco quindi la Vitamina D?

Esatto, proprio in virtù di quello che dicevo prima, ovvero dell'accumolo di Vitamina D da giugno 2019 a dicembre 2019 ovvero il semestre prima della pandamia. Per questo, abbiamo realisticamente ipotizzato che quelli che sono stati più al sole e che quindi hanno accumulato più Vitamina D da spendere nei mesi invernali, sono stati in qualche modo protetti. Ovviamente per essere più precisi, abbiamo correlato anche altre variabili come la temperatura dell’aria, il pm10 (materiale particolato con dimensione inferiore o uguale a 10 micrometri considerato un potente inquinante ndr), l’età media della popolazione coinvolta, l’incidenza di malattie cardiovascolari e di diabete, ed in effetti alcune di queste variabili sono risultate significative, ma il fattore predominante rimaneva sempre quello dei raggi ultravioletti che occupava circa l’80% della statistica di tutte le variabili. Quindi questo si comprende facilmente che è un dato importante.

Il vostro studio di prossima pubblicazione sulla prestigiosa STOTEN (Science of the Total Envinroment) è stato anche revisionato da altri scienziati?

Per usare un termine popolare gli hanno fatto proprio “le pulci” facendolo visionare da ben 7 reviewer, quando al massimo per uno studio se ne usano un paio.

Basandosi sul vostro ragionamento, si spiegherebbe anche perché nella prima ondata della pandemia sono state in parte preservate le zone del sud del mondo dove c’è stata meno incidenza del Covid 19. È corretto?

Esattamente.

Mentre il vostro lavoro è in fase di pubblicazione, nel Regno Unito, stanno già distribuendo la Vitamina D a tutta la popolazione...

Gli effetti della Vitamina D sono noti e in Inghilterra evidentemente hanno un comitato scientifico che ha ritenuto fondamentale darla alla popolazione come forma di prevenzione anche per il Covid, oltre che per tutti gli altri benefici noti che questa Vitamina apporta.

Possiamo però anche dire che lì c’è molto meno sole quindi meno raggi ultravioletti che da noi...

Proprio su questo c’è una questione interessante. L’enorme letteratura scientifica sui benefici del sole, ha inciso in termini culturali da sempre sui paesi del nord, che hanno visto delle vere e proprio migrazioni di massa verso l’Italia o in Spagna. Forti di questo retaggio da sempre hanno ritenuto opportuno, e maggiormente ora, fornire la Vitamina D a tutta la popolazione.

In concreto come agisce sia il sole, quindi i raggi ultravioletti, che la vitamina D sul Covid?

Esiste uno studio che dice che il virus viene inattivato dai raggi ultravioletti. Quindi fa bene alla pandemia per due motivi: il primo perché inattiva il virus direttamente sulle superfici, quindi questo può spiegare il fatto che durante l’estate c’è stato il crollo della mortalità, il secondo è l’aspetto della Vitamina D. La nostra ipotesi è questa: durante l’inverno nella prima ondata gennaio/maggio, si sono protetti di più quelli che avevano preso e immagazzinato nel semestre precedente più sole e quindi Vitamina D, mentre invece in estate ne hanno beneficiato un po’ tutti perché chi più chi meno sono andati al mare o sono stati all’aria aperta. Dopo le vacanze i morti sono ricominciati a salire, un po’ meno rispetto a gennaio perché abbiamo ancora Vitamina D immaganizzata nella cute, però se non facciamo niente i morti continueranno ad aumentare e questo voglio dirlo forte e molto chiaramente.

Cosa consiglia quindi?

Secondo me sarebbe bene che si facesse una campagna di stampa e lo abbiamo anche scritto in un comunicato, per promuovere la somministrazione di Vitamina D a tutti i pazienti fragili, nelle RSA o ai pazienti a rischio.

A parte con il sole, come si assume la Vitamina D?

Può essere presa con integratori quindi auto prescritti, facendo però attenzione alle dosi che a volte sono opinabili, oppure come preparati farmaceutici che sono dei farmaci prescritti dal medico. Noi in generale, e parlo come geriatra, la diamo abbastanza facilmente perché gli effetti collaterali sono scarsi. Se preferiamo invece gli integratori la dose giornaliera a persona consigliata è di mille unità di Vitamina D. che sia in compresse o in gocce.

Professore anche nei bambini è importante far assumere Vitamina D?

Assolutamente sì, anche se dovremo maggiormente pensare alla fascia di popolazione anziana perché è in quella che si concentrano di più i morti. Se guardiamo le tabelle del Ministero della Sanità possiamo vedere che nella fascia 70/90 anni, l’incidenza è dell’85%. Secondo me se anche in Italia si distribuisse, soprattutto agli anziani sarebbe una cosa molto importante.

Fonti

La Vitamina D ci salverà dal Covid? - IlGiornale.it

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